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Primo Maggio

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Domani gireremo il calendario, un altro mese finisce in questo 2013 tanto impegnativo dal punto di vista economico per la stragrande maggioranza delle famiglie.

Domani si sarà in Maggio: un mese che sa di viole, di rose, di fragole e di grilli, di ciliegie, di azzurri cieli ventosi sui papaveri rossi.

Un Mese che gioca d’anticipo sulle belle giornate d’estate, che porta l’aria del mare.

Mi è sempre piaciuta questa Festa, fin da piccina.

C’era un’aria solenne, sentivo che era una Festa diversa. Non c’erano le luminarie della festa del Patrono, non ci si riuniva con tanti parenti per grandi pranzi.

No.

Aleggiava un’ aria festiva ‘seria’ e ‘sobria’, come di un qualcosa che bisognava festeggiare, ma anche custodire, mantenere gelosamente e non per tradizione.

Non si andava a messa e questo mi stupiva. Ero molto piccola quando questo accadeva e non andavo ancora a scuola. Chiedevo a mia madre e a mio padre il perché di un giorno celebrato

tanto solennemente in piazza e non in chiesa. Le spiegazioni adatte alla mia età non erano così ‘adatte’  da farmi sfuggire che quello era un giorno molto importante in cui Patria, Religione, compleanni e onomastici erano fuori, un giorno solenne e diverso. Ed era anche un giorno in cui la valle, antistante al mare che si intravvedeva da casa mia, si colorava del rosso dei flessuosi papaveri: uno spettacolo.

Pranzo ‘celebrativo’ in famiglia  e al pomeriggio in piazza, dove su un palco  si alternavano uomini in maniche di camicia che parlavano, parlavano, interrotti solo da lunghi applausi.

Io, sulle spalle di mio padre, mi divertivo osservando dall’alto i cappellini delle signore, i ricci delle ragazze, la brillantina dei giovanotti, le coppe di gelato servite ai tavoli nei bar d’angolo nella piazza. Bandiere rosse e bandiere della Patria. Ho chiesto a mio padre ‘perché’ quelle bandiere fossero ‘solo rosse’ e la risposta fu corta: “Sono il simbolo del Lavoro”.

Mi persi in una foresta di strani interrogativi, fitti come mangrovie, che avrebbero dovuto unire lavoro e festa. Le mie risposte tardavano e mio padre era assorto a seguire i discorsi del palco ed io inseguii ancora una volta la vaniglia, a quel tempo molto interessante….

Erano serate dolci e miti e nell’aria tiepida tutte le fragranze dei fiori, della vaniglia, dei profumi delle signore si fondevano in un unico profumo: il profumo della festa del lavoro.

Sono passati tanti ‘Primo maggio’, mio padre non c’è più. Ho sempre solennizzato questa importante giornata: pranzo importante con la sola mia famiglia e quello che mi è sempre piaciuto  è il silenzio nel quartiere. Tutte le finestre aperte, le persone in casa e in genere la giornata è stata quasi sempre ventosa, di un vento che avvicina le voci e i suoni, un vento caldo che asciuga i petali delle rose, appena sbocciate, sul mio terrazzo,  che scompiglia i capelli ma non le certezze.

Silenzio, poche auto in giro, pochi mezzi pubblici, negozi e centri commerciali chiusi.

Ho il privilegio di vivere a Roma e, com’è noto,  alle 15 parte il grande concerto in Piazza San Giovanni. Sembra quasi che le note del concertone arrivino su onde emotive fin nel mio verde quartiere. Non andiamo in Piazza San Giovanni: è bene lasciare il posto a chi viene da fuori e ai Giovani, che di questa festa sono destinatari e tesorieri.

Almeno questo accadeva fin a qualche anno fa. Molte cose sono cambiate, non c’è più tanto silenzio, mezzi privati e pubblici quasi transitano come in un giorno feriale e come formiche si infilano nel parcheggio del centro commerciale.

E le bandiere rosse? Non è tanto la dissolvenza del simbolo a preoccuparmi, quanto la dissolvenza dell’essenza di cui erano simbolo: il LAVORO.

La fragranza mista di vaniglia, profumi  e fiori è diventata un olezzo che sa di stantio, di gente ingessata nell’abito elegante del profitto che stronca posti di lavoro e famiglie, di Politica lontana dai cittadini. Un primo maggio che sa  di ricatto perché chi lavora in un giorno che celebra il Lavoro è  ricattato.

Domani spero che si levi di nuovo il vento che asciuga i petali delle mie rose e che porti il profumo del vero Primo Maggio nelle menti di tutti a partire dai governi e da chi ha perso il Lavoro, per finire a chi lo cerca e chi ce l’ha, perché il Lavoro rende liberi e fa crescere il Paese.

Il Lavoro è il cielo azzurro in cui si muovono come papaveri le idee, i sogni, le speranze dei giovani.

Ovunque.

 

(“Primo Maggio” è un racconto tratto da “Radio Ferragosto” di Maria Luisa Caputo © 2012)

 

 p.s.

Per correttezza di informazione questo articolo è stato già pubblicato in occasione del primo maggio dello scorso anno. Nell'accingermi a scrivere un nuovo post, mi sono resa conto dell'impossibilità di trovare parole diverse. Nulla è cambiato. Sono cambiate le Piazze: non più Piazze dove si costruiva il Futuro, ma Piazze dove esplode l'urlo di rabbia di chi ha perso il lavoro, di chi pensa di perderlo e di chi ha perso anche le speranze di trovarne uno!

 

 


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